Al momento stai visualizzando Affidamento e ascolto del minore

Il giudice non è tenuto a recepire le dichiarazioni di volontà del minore: dal punto di vista di quest’ultimo, il giudice, è obbligato a tenerne debitamente conto e verificarne rigorosamente la contrarietà al suo miglior interesse se intende discostarsene. E’ necessario che il giudice valuti anche l’assenza di condizionamenti e il generale coinvolgimento del minore nel conflitto genitoriale. E’ quanto emerge dall’ordinanza n. 16231 dell’8 giugno 2023 della prima sezione civile della Cassazione (conforme: Cass. 12957/2018, sent. n. 161/2023 Tribunale diVelletri, Cass. Civ, sez I 17/04/2019 n. 10776).

Con decreto del 2 febbraio 2021, il Tribunale di Treviso modificava quanto previsto dalle condizioni di divorzio tra EM e LS, disponendo che la figlia minore S, affidata in maniera condivisa ad entrambi i genitori, rimanesse prevalentemente presso l’abitazione materna.

Il padre EM proponeva reclamo contro tale decisione, richiedendo, tra l’altro, l’esame diretto della minore.

La Corte d’appello di Venezia, a tal punto, registrava la volontà della ragazza di trascorrere la maggior parte del tempo con il padre. Tuttavia, la Corte soddisfaceva soltanto parzialmente le aspirazioni della minore a rimanere con il padre, disponendo la permanenza della figlia presso il padre non solo durante il lunedì – come originariamente previsto dal Tribunale di Treviso – ma anche il martedì fino alla sera dopo cena.

Ad opinione della Corte, infatti, lo sconvolgimento dell’intero calendario di visita a favore del padre non avrebbe risposto al miglior interesse della giovane, bensì l’avrebbe esposta a un maggior coinvolgimento nel conflitto genitoriale.

EM ricorreva in Cassazione avverso il suddetto decreto pubblicato in data 2 marzo 2022, prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso LS.

La soluzione della Corte di cassazione

Con il primo motivo il padre si doleva di un’insanabilmente contraddittorietà nella motivazione della Corte d’appello, in quanto da un lato i giudici di merito registravano la volontà della minore a trascorrere più tempo con il padre e, dall’altra, disponevano un calendario di visita sbilanciato a favore della madre LS. I parametri di cui si lamentava la violazione erano individuati dall’art. 132 c.p.c., dall’art. 12 della convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, dall’art. 23 regolamento CE 2201/2003, nonché dagli artt. 315-bis, 336-bis e 337-octies c.c. in relazione all’art 360 comma 1 n.3 c.p.c. Inoltre il ricorrente evidenziava come l’esposizione motivazionale del giudice d’appello, in contrasto con la volontà della minore in merito al suo stesso collocamento, risultava gravemente deficitaria in quanto basata su considerazioni generali senza riferimenti specifici al caso concreto. A tal proposito riportava l’approdo giurisprudenziale, che richiede una rigorosa verifica di contrarietà all’interesse del minore nel caso in cui ci si discosti dalle dichiarazioni del medesimo. Le argomentazioni del decreto impugnato, concludeva il ricorrente, non consentivano di ritenere che tale verifica di contrarietà fosse stata effettivamente compiuta.

Il motivo è stato ritenuto dalla Suprema Corte infondato, stabilendo che il giudice, secondola norma convenzionale, non è obbligato a seguire pedissequamente il volere del minore, pur dovendone, in ogni caso, tenere debitamente conto.

Allo stesso tempo però, richiamando l’art 315-bis c.c. e la previgente giurisprudenza di legittimità in materia (Cass. 12957/2018, Cass. 23804/2021), si sottolinea come il giudice, pur non essendo tenuto a recepire le dichiarazioni di volontà del minore, ove intenda discostarsene, dovrà compiere una rigorosa verifica di contrarietà di tali volontà al miglior interesse del medesimo.

Inoltre, la Corte rammenta come il regime di affidamento condiviso assicura una frequentazione paritaria tra genitori e figlio solamente in misura tendenziale, e che un assetto che se ne discosti leggermente in favore dell’uno o dell’altro non determina alcuna lesione del diritto alla bigenitorialità.

Per quanto concernente la motivazione, la Cassazione illustra come le argomentazioni della Corte d’Appello di Venezia debbano ritenersi soddisfacenti, in quanto rispettose delle risultanze dellaC.T.U. che aveva accertato un conflitto tra i genitori con un reale rischio di coinvolgimento della minore in tale contenzioso, sottolineando la carenza di genuinità del desiderio espresso dalla ragazza, influenzato dal contegno paterno e dalla sua “mancata elaborazione della separazione”.

La suddetta serie di argomentazioni, unitamente alla difficoltà pratica di sconvolgimento del calendario dovuta alla distanza tra le due abitazioni e alle connesse difficoltà di spostamento, viene ritenuta soddisfacente dalla Cassazione e rispettosa del rigoroso vaglio giudiziale di contrarietà delle volontà manifestate dalla minore al suo miglior interesse. La Suprema Corte arriva a condividere le ragioni della Corte d’appello di Venezia che ha ritenuto come il miglior interesse della minore vada individuato in una sua posizione di terzietà rispetto al conflitto genitoriale e perseguendolo mediante un regime di frequentazione sostanzialmente paritario.

Con riguardo al secondo e ultimo motivo, il padre lamentava invece la violazione degli artt.91 e 92 c.p.c. per la determinazione della Corte d’appello sulla compensazione delle spese della lite. Anche qui, la motivazione era considerata dal ricorrente troppo generica e non rispondente dell’accoglimento del motivo di reclamo relativo alla mancata audizione del minore.

Anche questo secondo motivo segue la stessa sorte di infondatezza del primo, in quanto il disposto dell’art. 92 c.p.c., così come integrato dalla Consulta, prevede una nozione elastica per le cause di compensazione della lite. In ogni caso non si sottrae a declaratoria di inammissibilità, in quanto la valutazione dell’opportunità di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti rientra nei potere discrezionale del giudice di merito (Cass. 24501/2017).

Per la Cassazione, spetta l’assegno di divorzio alla ex che si è dedicata all’accudimento e all’educazione dei figli, non potendo svolgere pertanto attività lavorative

Le funzioni assistenziale, compensativa e perequativa dell’assegno di divorzio

Spetta l’assegno di divorzio alla ex, in ragione del contributo alla formazione del patrimonio del marito, visto che si è dedicata per tutta la durata del matrimonio all’accudimento ed educazione dei figli, peraltro per scelta condivisa con l’ex coniuge, essendo impedita così allo svolgimento di attività lavorative. E’ quanto ha affermato la Cassazione con l’ordinanza n. 13224/2023 (sotto allegata) dichiarando inammissibile il ricorso dell’uomo avverso la sentenza della Corte d’appello che lo condannava a versare un assegno divorzile di oltre 2mila euro, comprendendovi anche la somma dovuta per sostenere gli oneri locativi dell’ex moglie.

Ciò in ragione della notevole redditività dell’attività imprenditoriale dell’uomo, nel campo della ristorazione, oltre alla proprietà di vari immobili. L’ex moglie invece aveva profuso un notevole impegno in famiglia per l’accudimento e la crescita dei tre figli in 25 anni di durata della relazione familiare, contribuendo in tal modo al notevole incremento patrimoniale dell’ex-marito acquisito nel corso del matrimonio; pertanto, l’assegno divorzile rispondeva alle funzioni assistenziale, compensativa e perequativa (con riferimento alle SU n. 18287/18).

al Palazzaccio lamentando, tra l’altro, violazione dei principi di cui alla l. n. 898/70, per aver la Corte d’appello omesso di accertare l’inadeguatezza dei mezzi della ex e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, considerato che la stessa non aveva mai cercato attività lavorative, pur avendone la possibilità, non essendo sufficiente, al fine del riconoscimento dell’assegno divorzile, l’attività di accudimento della prole.

Per la Cassazione, tuttavia, la Corte d’appello, investita della domanda di corresponsione di assegno divorzile, deve accertare l’impossibilità dell’ex-coniuge richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente e la necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, nella registrata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi. L’assegno divorzile, infatti, proseguono i giudici della S.C., “deve essere adeguato anche a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale profilo assistenziale” (Cass., n. 38362/21). Inoltre, “è stato altresì affermato che, in tema di determinazione dell’assegno di divorzio, il principio secondo il quale, sciolto il vincolo coniugale, ciascun ex-coniuge deve provvedere al proprio mantenimento, è derogato, oltre che nell’ipotesi di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, anche nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale dall’uno all’altro coniuge, ‘ex post’ divenuto

ingiustificato, che deve perciò essere corretto attraverso l’attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa, adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali reddituali, che il richiedente l’assegno ha l’onere di indicare specificamente e dimostrare nel giudizio” (Cass., SU, n. 18287/18; n. 23583/22).

Nel caso concreto, in conformità dei suddetti principi affermati dalla giurisprudenza, il giudice di secondo grado ha ritenuto che la controricorrente avesse diritto all’assegno divorzile nella misura stabilita, accertando, con motivazione insindacabile in sede di legittimità, che la donna si era dedicata per tutta la durata del matrimonio all’accudimento e all’educazione di tre figli, quale scelta condivisa con l’ex-coniuge, costituendo ciò una ragione impeditiva dello svolgimento di attività lavorative.

Ne consegue che l’assegno è stato correttamente liquidato in favore della controricorrente, nella sua declinazione compensativa e perequativa, sulla base della disparità reddituale-patrimoniale tra gli ex-coniugi, e del contributo che la aveva apportato alla formazione del patrimonio dell’ex-marito.

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